Gli italiani sperano ancora nel posto fisso e sono lavoratori felici

L’economia italiana è un ambito che dà buone e cattive sorprese in continuazione. Di solito, soprattutto in base alla percezione degli italiani, le brutte notizie sono superiori a quelle buone, ma non è sempre così per lavoratore italiano soddisfatto.

Alcuni sondaggi e studi sui lavoratori italiani, infatti, fanno pensare che la situazione lavorativa dell’italiano medio sia migliore di quanto se ne abbia percezione.

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La notizia mette dubbi e incertezze a mote persone: fondamentalmente, non ci credono in molti, nonostante lo studio sia reale.

La Hays Salary Guide, un’ente che scrive guide sulla situazione dell’economia del lavoro in molti Stati del mondo, dice la sua. Secondo il suo studio, gli italiani che lavorano conducono uno stile lavorativo e di vita abbastanza soddisfacente. Sarebbe tanto buono che gli italiani al lavoro sono definiti dei “lavoratori felici”.

Criteri dell’indagine

L’indagini viene svolta annualmente e riguarda la bellezza di 170 aziende. Sulla provezienza geografica delle aziende si sa poco ma, considerato i dati in possesso, è probabile che si trovi quasi tutte nel centro o nord Italia.

Questo fatto da solo mette dei dubbi su quanto la ricerca sia valida nei confronti della disastrata economia del Sud.

In ogni caso, l’indagine è stata svolta facendo delle domande ai lavoratori e professionisti di queste aziende. Ben il 70% di loro ha espresso soddisfazione dalla propria situazione lavorativa ed economica.

Le persone insoddisfatte, cioè circa il 36% degli intervistatti, si è lamentato principalmente di aspettative disilluse e poce prospettive di carriera.

Per quanto riguarda lo stipendo, più della metà degli intervistati (60% dalle fonti) sembrerebe soddisfatto. Questo, da solo, è un altro dato che stupisce… lavoratore italiano soddisfatto

Poca carriera e possibilità di crescita

I due fattori più criticati dai lavoratori sono le ridotte possibilità di carriera e la mancanza di un clima sereno in azienda.

Questi due fattori sono molto critici e vanno attenzionati: un lavoratore che sa di non poter crescere in azienda o si sente poco sereno mentre lavora produce poco, vive male e non aiuta nemmeno l’azienda.

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Il posto fisso

Nel campione interessato, la maggioranza è d’accordo nel dire di desiderare ancora il posto fisso a lavoro. Le motivazioni date sono il desiderio di avere un’entrata sicura e la possibilità di crescita professionale.

Il fattore carriera, insomma, è fondamentale, secondo gli intervistati, e non va assolutamente messo in secondo piano.

Nonostante il desiderio di un posto fisso, una buona percentuale del campione ritiene che non sia sempre attuabile. Soprattutto se viene considerata l’economia di oggi.

Questi dati, per quanto piccoli, possono dare un quadro d’insieme di come si trova un lavoratore medio (probabilmente del nord) a lavoro. E ci ricorda anche che la sicurezza a lavoro e le prospettive di carriera sono fattori da non trascurare mai, se si vuole avere un’azienda che funziona.

Per continuare a essere aggiornati sull’economia italiana, seguiteci su Men’s Enjoy.

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1 commento

  1. Argomentazioni interessanti, che tuttavia non smentiscono uno solo degli assunti dell articolo. Il problema non sta nel costo del lavoro italiano (che non e affatto uno dei piu elevati dell Ue, e questo e assolutamente corretto), bensi nella produttivita e in quel rapporto tra retribuzione e produttivita del lavoro che sia chiama CLUP (costo del lavoro x unita di prodotto), che resta piu elevato della Germania e di altri paesi appartenenti alla stessa valuta, l euro. La relazione tra aumento del debito privato e appartenenza all euro mi pare alquanto debole. Il costo potenziale in termini di aumento del debito privato ( drogato , e vero, dai bassi tassi di interesse) e stato inferiore al risparmio derivante dalla spesa per interessi. Se poi i policymakers italiani dal 1998 in poi non sono stati capaci di aiutare la crescita economica beneficiando di un interest rate environment irripetibile, questo e un problema loro (ma soprattutto nostro), ma darne la colpa all euro (in paese con il tasso di crescita del pil piu basso dell intera Ue negli ultimi 15 anni) mi sembra abbastanza ingenuo. A me invece pare un pensiero piuttosto debole, quello di chi crede di diminuire il debito (privato) introducendo un sistema che, mediante tassi d interesse piu bassi, rende piu facile l indebitamento. La riprova ce l ha andando a vedere sul sito dell OCSE l aumento degli investimenti diretti esteri (IDE) in Italia durante gli anni 2000. Se ci pensiamo bene, in fondo, e tutto piuttosto semplice. Prima dell Euro, un europeo che voleva investire in Italia (attratto dagli alti tassi d interesse del nostro paese) doveva fare i conti con l oscillazione del cambio nominale, e l eventuale svalutazione della lira. Introdotto l Euro, abbiamo fatto una promessa a quell investitore, e cioe che l aggiustamento del cambio reale (quello nominale ovviamente rimane fisso) sarebbe stato a carico del fattore lavoro. Quindi, ora e sempre (finche rimarremo nell euro), per rendere piu competitive le imprese, e aggiustare il CLUP (costo del lavoro per unita di prodotto) dovremo contare solo sulla precarizzazione e sui bassi salari, con tutto quello che questo comporta sulla domanda interna.

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